E il vecchietto dove lo metto?
Una vita da atleta: è quella di molti cavalli, compagni di sport e di gara che si guadagnano la vita accompagnando amazzoni e cavalieri nel loro percorso agonistico.
Cavalli che in una vita da sportivi hanno imparato forzatamente a sostituire le cose più naturali per un animale da branco, quali sono, con dei succedanei del tutto artificiali: al posto della libertà di movimento in un prato l’attività fisica finalizzata alle prestazioni atletiche, invece della compagnia di altri cavalli il contatto quotidiano e costante con l’uomo.
Spesso per motivi di sicurezza questi cavalli non hanno mai la possibilità di fare cose normali per gli equini qualsiasi: una sgroppata in compagnia nel paddock, ad esempio, che se arriva un calcio e ci si fa male poi la stagione dei concorsi salta.
Tali e quali gli atleti umani, che per contratto non possono mettere a rischio gli impegni di lavoro assunti con le proprie società di appartenenza.
Così l’uomo diventa il loro unico punto di riferimento emotivo: è lui che li striglia, li cura, li tocca tutti i giorni.
E’ l’uomo a dare loro la possibilità di galoppare, di entusiasmarsi, è lui che diventa l’altra metà del loro mondo e chi ha mai avuto un rapporto continuativo con un cavallo qualsiasi sa bene quanta buona volontà, quanta partecipazione sia capace di mettere in quello che fa con e per noi esseri umani – è la chiave del successo dei cavalli, che in migliaia di anni di storia sono sempre riusciti a guadagnarsi uno spazio vicino a noi, anche in tempi come questi dove sembra quasi anacronistico che un erbivoro da fuga come lui riesca ancora a trovare una ragione d’essere.
Poi, però, arriva la vecchiaia. O magari gli infortuni, cha la vita dell’atleta è dura.
E allora si cerca un nuovo compagno di gara.
E il compagno di tante passate avventure? Le femmine abbastanza spesso vengono messe a fare le fattrici, qualcuno si ritaglia un ruolo come cavallo da scuola per cavalieri alle prime armi, altri ancora (e sono tanti) vengono messi al prato: ed è una soluzione intesa come premio, sia chiaro, perché cosa può esserci di meglio per un cavallo che pascolare serenamente tutto il giorno?
Ma in realtà in molti casi si tratta uno shock, per l’ex-atleta: all’improvviso non è più oggetto delle attenzioni quotidiane di cavaliere e groom (il palafreniere, si diceva una volta), vengono a mancare quella cura gelosa e il contatto fisico costante dovuti al lavoro e al governo della mano che lui si era abituato a considerare naturali.
Molti cavalli soffrono di questo passaggio, arrivando a deperire fisicamente e patendo anche dal punto di vista psicologico il distacco forzato dalle loro abitudini: per questo, a fine carriera, sarebbe opportuno prevedere per i soggetti da sport un pensionamento graduale, che li porti con più naturalezza a ridiventare capaci di godersi la serenità di un prato tranquillo magari in compagnia di altri cavalli.
Hanno bisogno di un vero e proprio reinserimento, in definitiva.
Perché noi uomini siamo egoisti e totalizzanti ma i cavalli riescono ad amarci lo stesso: ed è per questo che li troviamo così meravigliosi, in fondo.
Da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry:
«Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come inondata di luce. Conoscerò un rumore di passi diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno fuggire sotto terra. Il tuo mi chiamerà fuori dalla tana, come una musica. E poi guarda! Li vedi laggiù, i campi di grano? Io non mangio pane. Quindi per me il grano è inutile. I campi di grano non mi dicono niente. E questo è molto triste! Ma tu hai capelli color dell’oro. E allora sarà bellissimo quando mi avrai addomesticato! Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E mi piacerà il rumore del vento nel grano…»
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe. «Per favore… addomesticami!»