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Cover Ivan Immagini Efficaci

Immagini efficaci

Ogni volta che facciamo una foto stiamo cercando di comunicare qualcosa.

 

Quando parliamo di fotografia, se il nostro desiderio è quello di non fermarci sulla superficie, ma di indagare sulle dinamiche e sui significati più intimi di questa pratica, dovremmo cercare di focalizzare l’attenzione su questo concetto, che è probabilmente la chiave di lettura di tutta l’arte fotografica.

 

Nel momento in cui ci si appresta a scattare una fotografia, si stabilisce che cosa ci serve del mondo che stiamo osservando e del pezzo che prendiamo, che decidiamo di utilizzare per le nostre finalità.

Si tratta di un processo il più delle volte automatico, che la maggior parte delle persone compie senza rendersene conto. Tuttavia, capire cosa si vuole fotografare e perché, è un momento di importanza fondamentale.

Se vogliamo quindi che le nostre fotografie facciano un salto di qualità e siano in grado di comunicare un’idea, un contenuto, dobbiamo prima di tutto preoccuparci di scegliere il contenuto e di formulare l’idea.

Ma attenzione, perché la differenza fra una buona fotografia e una fotografia mediocre non è data mai da caratteristiche fisiche (tanto care a una buona parte di sedicenti esperti), come la nitidezza, la messa a fuoco o la resa dei colori, bensì dalla qualità dell’idea che presiede alla decisione di scattare quella foto.

Ne consegue che, per scattare una buona foto, sono necessari dei processi di raffinamento del pensiero per poter passare da una intenzionalità troppo generica ad una situazione in cui tutto si possa comprendere, in modo mirabile.

 

Non sono quindi le scelte legate all’utilizzo della triade espositiva o di una determinata attrezzatura, ma è il processo mentale che crea la fotografia.

 

Una volta stabilito il contenuto, l’autore dovrà preoccuparsi delle modalità con le quali esporre la sua idea, ovvero le strategie visive che sceglierà di adottare (di questo parleremo in uno dei prossimi post).

Non bisogna infatti dimenticare che ogni fotografia, ancor prima di essere riconosciuta come un messaggio, è una sollecitazione visiva. Colpisci l’occhio e otterrai l’attenzione della mente.

Questo ci fa capire l’importanza delle scelte compiute dal fotografo nella fase compositiva, assegnando ad ogni elemento la sua giusta posizione, nel tentativo di trovare la forma più corretta per trasmettere il significato.

 

Inutile nasconderlo, l’intenzione è sempre fondamentale e la fortuna non c’entra, almeno in questo campo. Dietro ad ogni immagine ben riuscita c’è sempre un bel ragionamento.

 

Ma, detto questo, sappiamo tutti che il mondo intero è ormai dominato da legioni di fotografanti che, a torto o a ragione, di queste pippe mentali non si curano nemmeno lontanamente.

Nella maggior parte delle foto che riempiono le pagine dei social network, i fotografanti non inquadrano il mondo, ma mostrano se stessi, gli spazi che abitano, i cibi che stanno per mangiare. Si tratta di una produzione illimitata e senza tregua, una comunicazione unidirezionale fatta da milioni di braccia invisibili che si agitano per essere notate, un sentimento comune che, nella totale incomunicabilità di un intero mondo dedicato alla comunicazione, trasmette con un flusso costante un unico, sconsolato messaggio: ti prego, guardami.

 

Si tratta di fotografie inutili, inefficaci? Da un certo punto di vista si potrebbe pensare che sia così, ma d’altro canto queste foto costituiscono in qualche modo la mappatura del mondo, il DNA del pensiero comune e dell’intelletto di ogni singolo individuo. Perciò, sotto questo punto di vista, assumono di sicuro un significato. Dammi una tua foto e ti dirò chi sei.

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