Letteratura e sport, secondo capitolo.
«Nella confusione nessuno si accorse di Lamorchia, solo Bragonzi lo vide predisporsi a battere al volo: ”No! No!” gli gridò, o forse lo pensò solamente, il pallone scendeva con lentezza irreale, già quello si metteva obliquo torcendo il busto e arretrando la gamba destra, già piegava il ginocchio sollevando la scarpa da terra, “No! No!”, non così, non al volo, lascialo rimbalzare, ma Lamorchia non poteva sentirlo, come fascinato vêr l’alto, ogni facoltà sensitiva trasferita oramai alla caviglia, in quel seno che dicesi collo. Abbandonando l’uomo che aveva in custodia, Bragonzi si lanciò nella mischia verso Lamorchia e intanto lo scongiurava, gli inviava messaggi, e poi di colpo se ne accorsero tutti, si fermarono come pietrificati, bloccate le membra in viluppo, e incapace di voce ognuno pensò dentro di sé Non farlo, non farlo, nessuno osava guardare la caviglia di Lamorchia, tutti ne guardavano l’occhio in deliquio, catturati dalla sua beatitudine e insieme inorriditi… PUM! fece il pallone colpito troppo sotto, di dorso, e s’impennò un’altra volta, ma non più in verticale bensí in parabola atroce, luttuosa: il pallone di Best ricadde proprio sullo spessore del muro togliendo a tutti il respiro, poi, dopo un’impercettibile stasi, precipitò definitivamente dall’altra parte, e divenne cosa del signor Kurz.»
In Euridice aveva un cane, la sapiente scrittura di Michele Mari ci trasporta attraverso lo spazio e il tempo alla scoperta di mondi rasserenanti e insieme terribili, la sua potente prosa evocativa disegna scenari in cui si mescolano personaggi allucinati e commoventi che sembrano usciti dal Libro Cuore, ma che appartengono all’universo visionario di Jean Paul Sartre, rivelato nei racconti “Erostrato” e “La camera” (Sarte, J.P. Il Muro, Giulio Einaudi Editore, 1947, Torino), dove Pietro si serve dello ziutro per scongiurare l’attacco delle statue e Paolo Hilbert, aspirante omicida, spedisce a centodue scrittori una lettera, rivelando le sue intenzioni.
Una raccolta di racconti, un libro breve, intenso , indimenticabile.
In un paio di questi Michele Mari utilizza lo sport e le passioni che attorno ad esso si dipanano, per raccontarci dell’infinità umanità dei suoi personaggi, con un linguaggio alto e un lirismo potente e raffinato, difficilmente rintracciabile nella produzione letteraria contemporanea.
Nel racconto “I palloni del signor Kurz” Mari narra le vicende di un gruppo di ragazzini ospiti di un collegio, che hanno come unica grande passione il gioco del calcio. Ma le partite si svolgono nel cortile del collegio, e il muro di confine separa la proprietà della scuola da quella di un misterioso individuo, il signor Kurz, che nella fantasia dei ragazzi sembra assumere le fattezze di un drago, un orco che invece di divorare i bambini, sequestra i palloni. Ma la cosa non finirà qui, e il protagonista, il timido Bragonzi, affronterà le sue paure per accedere ad un segreto, una verità che andrà ben oltre le sue – e le nostre – più ardite fantasie.
Altro brevissimo e intenso racconto è “La morte, i numeri, la bicicletta”, dove protagonista è, per l’appunto, la bicicletta e la voglia di pedalare, in un racconto breve che si configura come un piccolo cameo, un prezioso tessuto di parole scritte, sulla scia delle storie radiose e fulminanti raccontate in Centuria, di Giorgio Manganelli.
Non si tratta esattamente di un libro che parla di sport, ma di una serie di racconti che, in qualche modo, comprendono il gioco e lo sport in generale nelle vicende umane, nella vita di tutti i giorni.
Di certo non sarà una lettura incentrata sull’argomento sportivo, ma vale la pena di leggerlo e di avvicinarsi, seppur in punta di piedi, alla “verità dei mondi immobili” e alla dimensione immutabile della grande letteratura.
Una lettura non banale, forse non facile, ma chi ha mai detto che le cose belle sono semplici da raggiungere?
Mari, M. Euridice aveva un cane, Giulio Einaudi Editore, 2004, Torino.
Ivan Scotti