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Cantami, o Diva, del mitico Roger.

Quegli ultimi istanti di paura, quella maschera imperturbabile, indossata come un’armatura per attendere il momento in cui il giudizio inappellabile di Hawk-Eye ti trasporterà finalmente al di là di quel traguardo, oppure ti tratterrà ancora una volta qui, restituito alla terra, nel doloroso mondo delle opere umanamente imperfette.

Un minuto, un secondo, ed ecco apparire la sagoma scura della pallina, che si sovrappone alla linea bianca; è finita, non devi più avere paura.

L’espressione sbigottita, il sorriso che si fa largo fra lo sgomento e l’incredulità e poi, finalmente, la certezza. Quella certezza che diventa felicità incontenibile, che trasforma il tuo viso in una smorfia urlante di furore e gioia, e si rivela al mondo, insieme alle tue lacrime, le lacrime dell’eroe.

Si perché gli eroi piangono, ce lo hanno insegnato Ettore e Achille, piangono a viso aperto e senza vergogna, affermando in questo modo la loro umanità, il loro diritto alla paura.

Questa è l’immagine finale, emblematica di tutta la partita di ieri, e forse anche di tutta la carriera agonistica di Roger Federer, il più grande campione che la storia mondiale del Tennis abbia mai conosciuto.

E di paura non si può non parlare, perché ancora una volta, ieri sera, Roger Federer è sceso in campo per affrontare il suo incubo peggiore, la sua vera nemesi, il terribile mancino di Manacor; Rafael Nadal.

Sembrava la rappresentazione di un dramma, nemmeno tanto originale: il grande Roger Federer, quasi 36enne, vincitore di 17 titoli Slam, che rientra nel circuito dopo sei mesi di assenza per motivi fisici – ma, dicono le malelingue, anche per sopraggiunti limiti di età – e imbrocca una serie di partite fantastiche, che lo portano verso la seconda settimana del torneo. Si aggiunga a tutto questo una serie di fortunose coincidenze che vedono cadere le due teste di serie più pericolose, Andy Murray e Novak Djokovic, spianando di fatto al tennista svizzero la strada verso i quarti di finale, in cui affronta e sconfigge in tre set il tedesco Misha Zverev, dopo aver battuto in cinque set il giapponese Key Nishikori, testa di serie n.5. Giunto in semifinale, Roger affronta e sconfigge ancora in cinque set il connazionale Stan Wawrinka, in una partita che vede opporsi due stili tennistici di assoluta bellezza.

Questa odissea lo porta dunque fino alla grande finale, la partita definitiva, quella che potrebbe consacrarlo come l’unico detentore di ben 18 titoli Slam e il più anziano vincitore di un titolo Slam nell’era Open, la partita con la P maiuscola, quella che potrebbe regalargli quell’ultimo acuto, quello che manca da troppo tempo, traghettandolo definitivamente nel mondo degli irraggiungibili, degli dei che brillano di luce propria, come stelle nel buio.

E giunto alla fine del percorso, chi ci trova ad aspettarlo in finale? Rafael Nadal, redivivo come lui da un periodo buio e difficile, una lunga fase che lo ha visto come probabile candidato ad un ritiro nemmeno troppo glorioso, dopo aver vinto ben 14 titoli Slam, secondo in questo record solo a lui, Roger, il Re.

Rafael Nadal, proprio lui che nel 2004, ragazzotto naif n.34 del ranking, con la canottiera e i calzoncini a pinocchietto, si permise di rifilare, durante il Master 1000 di Miami, un secco 6-3 6-3  all’elegante, inarrivabile, imperturbabile e indiscusso n.1 del mondo, Roger Federer, proprio lui. E fu solo l’inizio di una serie di vittorie da parte del mancino ai danni del Re, che portarono gradualmente il bilancio degli scontri diretti nettamente a favore dello spagnolo (27-11), creando così un vero e proprio mito della “bestia nera”.

Si profila così uno scenario da battaglia epocale, da resa dei conti finale, Federer deve scrutare nell’abisso e affrontare le sue peggiori paure, per guadagnare quel trofeo che ancora gli manca, quel traguardo che non è ancora riuscito a raggiungere e che sarebbe il completamento della sua immensa carriera sportiva e, forse, del suo percorso personale: giocare il suo miglior tennis, sfidando il pericolo di incappare in un’ennesima sconfitta, a viso aperto e senza paura, contro il suo personale e terrificante mostro, la sua Gorgone Medusa.

Tutto il resto è già storia, una partita fatta di momenti che hanno visto alternarsi al comando del match i due grandi campioni, esibendo un repertorio di colpi che hanno dell’incredibile, una partita che ha visto Roger affrontare i suoi fantasmi e combatterli, ribattere i colpi arrotati dello spagnolo, rimandare dall’altra parte della rete non solo la pallina, ma anche il cuore, brandendo la sua novella excalibur con una sicurezza mai vista in questi frangenti, soprattutto di rovescio. Si perché probabilmente quella che è sempre stata la chiave della vittoria di Nadal, questa volta è stata la chiave della sua sconfitta. La tattica insistente, tanto ottusa quanto efficace, di chiudere Federer nell’angolo sinistro e costringerlo a difendersi con il rovescio, ha portato questa volta il campione svizzero a trasformare un punto di relativa debolezza in un’arma vincente. Ed è stato proprio a suon di vincenti, la maggior parte usciti proprio dal fianco sinistro del grande campione, che si è conclusa questa epica battaglia, che ha rinfrancato non solo quello di Roger, ma centinaia di migliaia di cuori, quelli dei suoi tifosi sparsi in tutto il mondo, tifosi e appassionati di tutte le età, amanti dello sport e non solo del tennis, senza compromessi, senza trucchi e senza mezze misure, con audacia e lealtà, verso il proprio destino.

 

Ivan Scotti

 

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