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Fognini Montecarlo

L’insostenibile leggerezza del Fogna

Finale Monte-Carlo Rolex Masters 2019.

 

Quella di oggi non è stata una bella partita, dal punto di vista del tennis giocato, ma ha rappresentato di sicuro uno dei momenti più alti e importanti nella storia del tennis italiano, e sicuramente il più importante in assoluto degli ultimi quarant’anni.
Come oramai tutti sapranno (anche chi non segue il tennis avrà letto o almeno ascoltato di sfuggita il resoconto della finale in qualche notiziario), il tennis italiano era a digiuno di titoli importanti da tempo immemorabile, per la precisione dalle ultime vittorie di Adriano Panatta – e parliamo della seconda metà degli anni settanta – a Roma e Parigi.
Fabio Fognini (il Fogna per gli amici) oggi ha compiuto un’impresa, a pensarci bene, a dir poco eroica. Se pensiamo a quanto peso si fosse improvvisamente caricato sulle sue spalle, c’è da rabbrividire.
Chi pensa che abbia avuto vita facile nel torneo, si sbaglia. Infatti il suo percorso è stato tutto in salita perché, dopo aver affrontato e sconfitto validissimi avversari come Rublev, Simon, Zverev e Coric, si è trovato al cospetto del grande mietitore dei campi Rossi, del mostro invincibile che negli ultimi undici anni ha letteralmente dominato la stagione sulla terra rossa: Rafael Nadal, il toro di Manacor. Ebbene, qui il Fogna ha compiuto il primo miracolo, riuscendo a concentrare tutte le sue energie fisiche e mentali, tutto il suo talento e la sua follia, per esplodere in un gioco stellare, che ha letteralmente annichilito il maiorchino, il quale dichiarerà poi in conferenza stampa che questa è stata la sua peggiore partita negli ultimi quattordici anni. Poco gentile come affermazione, perché anche se fosse vero, bisognerebbe sempre ammettere che nel campo si gioca in due, e il proprio rendimento, volenti o nolenti, è sempre in qualche misura condizionato dal gioco dell’avversario. Avversario che questa volta gli aveva semplicemente nascosto la pallina, a suon di vincenti di diritto e di rovescio, tutto qui. Un Fogna in versione Avenger, semplicemente fantastico.
E così si arriva in finale, la grande finale di un Master 1000 che tutta l’Italia tennistica sogna da quando ancora si portavano i pantaloni a zampa d’elefante.
Ma ad aspettare il Fogna nella sua prima finale di un Master 1000 questa volta non ci sono i terribili Nadal o Djokovic e nemmeno il divino Federer, o gli ultimi astri nascenti come Tsitsipas o chissà chi altro ancora. In finale lo aspetta il mite Dusan Lajovic, un ragazzone biondo, occhi azzurri e un disarmante sorriso da bravo ragazzo. Il tennista serbo galleggia da anni intorno alla cinquantesima posizione del circuito, esibendo un gioco senza grandi lacune, ma senza la possibilità di produrre acuti pericolosi per il talento tennistico del nostro Fabio. Un buon giocatore, ma davvero niente di impossibile.
È proprio questo aspetto rende la partita ancora più drammatica. Si perché battere Lajovic, per un tennista come il Fogna, é poco più difficile che camminare su una striscia pitturata per terra, larga cinquanta centimetri, con il solo obbligo di non mettere un piede fuori. Un gioco da ragazzi. Il Fogna potrebbe farlo anche correndo.
Il problema sta nel fatto che in questa situazione, la somma delle aspettative sue, del suo entourage, del pubblico, dei suoi tifosi e di tutta la nazione, hanno fatto sì che questa striscia si staccasse da terra e si sollevasse ad un’altezza di duecento metri dal suolo.
Ora mettere un solo piede in fallo sarebbe stata la fine. Avrebbe voluto dire precipitare nel vuoto e spiaccicarsi a terra, come un moschino sul parabrezza dell’auto, in autostrada, d’estate.
La verità è che quando sei obbligato a vincere, anche battere uno che gioca su una gamba sola diventa difficile.
E così abbiamo assistito ad una partita dove gli errori hanno contato di più dei punti fatti, dove i vincenti si sono visti raramente, dove la palla viaggiava a velocità ridotte e il più delle volte senza la ricerca di un’apertura del campo.
La tensione si percepiva come l’odore della salsedine in riva al mare e i due tennisti si muovevano in un’atmosfera densa come la marmellata, dove ogni movimento costava fatica doppia, tripla, rispetto al normale.
Ma alla fine la paura ha ceduto il posto alla gioia, quando l’ultimo colpo tremebondo del tennista serbo ha scagliato la pallina gialla fuori dalle righe, l’incubo è finito, e Fabio si risvegliato con un nuovo sorriso sul volto, il sorriso di chi ha vinto non solo una partita contro un avversario difficile, non solo un torneo importante, ma la partita più dura, quella giocata contro se stesso, nel campo da tennis che tutti noi tennisti ci portiamo dentro la testa.
Game, set and match. Si conclude così un’avventura che ha dell’incredibile. Il Fogna, con il suo tennis di periferia, pazzo, geniale e autodistruttivo, i suoi modi di fare irriverenti, a volte volgari ma sempre conditi da quell’ironia diretta e anche ingenua, che non può non strapparti un sorriso, oggi ha scritto una pagina importante della nostra storia tennistica. Che piaccia o meno, questa è la realtà, e chi continuava a sbandierare successi oramai retaggio di un passato morto e sepolto, chi non ha mai scommesso nemmeno due lire sul Fogna, dovrà farsene una ragione.

 

Ivan Scotti

 

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